IL SENTIERO DELL'ENERGIA

IL SENTIERO DELL'ENERGIA

 

Il Sentiero dell'Energia mira a guidare gli escursionisti attraverso un percorso che permetta di comprendere come con l’utilizzo dell’acqua sia possibile produrre energia. Prima della rivoluzione industriale, quando si parlava di energia, ci si riferiva all’energia meccanica prodotta sfruttando la forza dell’acqua. Per questo motivo i mulini e le fucine idrauliche erano posizionate nelle vicinanze dei corsi d’acqua . La frazione di Poltragno ha potuto svilupparsi sfruttando l’enorme ricchezza d’acqua derivata dal torrente Borlezza e dal torrente Oneto suo affluente. Qui dal 1400 ha sempre operato una fucina idraulica, mentre nelle sue vicinanze è possibile vedere i ruderi di una struttura che ospitava fino alla metà del secolo corso una serie di mulini. Con l’invenzione dell’energia elettrica, si è continuato a sfruttare la forza dell’acqua per fare girare le ruote, con la differenza che le ruote in questione (ossia le turbine) sono collegate ad alternatori che trasformano l’energia meccanica in energia elettrica. Nasce così accanto all’alveo del Borlezza la centrale idroelettrica di Poltragno che da più di un secolo produce energia elettrica prima per l’insediamento siderurgico, poi per le utenze private.

Il “sentiero dell’energia” ha lo scopo di far conoscere come si è evoluta nel tempo la produzione di energia, passando da quella meccanica a quella elettrica, prevedendo una visita guidata ai due impianti in questione. Un percorso affascinante che saprà soddisfare da un lato la curiosità dei ragazzi delle scuole sia secondarie che superiori e dall’altra il piacere della conoscenza di tanti cittadini che hanno a cuore il proprio territorio   

 

Il maglio CARRARA

 

Da sempre è nota la tradizione della lavorazione del ferro nella zona dell’Alto sebino. In particolare la ricchezza d’acqua generata dal torrente Borlezza e dai suoi affluenti e quindi la possibilità di sfruttare la corrente dell’acqua come forza motrice, ha favorito l’insediamento nelle vicinanze del suo corso, sin dalla dominazione veneta, di numerose officine, fucine con magli idraulici e mulini.

A Poltragno la fucina  è una significativa realtà di un processo produttivo artigianale, rilevante nel contesto storico - produttivo locale. Quella della fucina con maglio idraulico, è l’unica testimonianza nella bassa Valle Camonica e Val Borlezza, della permanenza di un processo produttivo locale con caratteristiche uniche, che è facilmente riferibile ad un contesto etnico-storico dell’Alto Sebino e della bassa Valle Camonica.

Sorta nelle immediate vicinanze del torrente Oneto, affluente di destra del Borlezza, ed alimentata da una canaletta aerea, la fucina di Poltragno è composta da un fabbricato in pietra locale a vista. Attualmente al suo interno ospita due magli idraulici su uno dei quali troviamo incisa la data del 1764. Sul lato sinistro dell’ampio locale sono ricavati nella parete, tre forni di riscaldo in mattoni e pietra, mentre in un angolo verso il fondo della fucina, sporge dalla parete la grande mola in arenaria, utilizzata per la rifinitura dei pezzi. Lungo la parete di destra, allineati, sono posizionati i due magli con la possente struttura in pietra che li sorregge facendo da perno ai pesanti martelli, che ricavano il moto da un albero azionato a sua volta da una ruota in legno, esterna al fabbricato, mossa dalla forza dell’acqua.

Alle pareti sono appese forme, tenaglie, incudini di ricambio per il maglio, pinze, martelli, ed attrezzi vari di uso quotidiano per gli addetti della fucina.

 

Centrale idroelettrica di Poltragno

 

L’impianto idroelettrico di Poltragno, il cui edificio di centrale è ubicato nella località omonima,  Comune di Lovere (BG), è alimentato dalle acque del torrente Borlezza; l’opera di presa si trova nel territorio comunale di Sovere (BG), la condotta forzata e l’edificio della centrale si trovano nel comune di Lovere (BG).

Lo sbarramento è costituito da una traversa di muratura di pietrame e calcestruzzo da cui si stacca, in sponda sinistra, un breve canale munito di due luci sghiaiatrici. Esso termina nella vasca dissabbiatrice posta in testa al canale derivatore, dotata di sfioratore delle portate captate dalla presa non convogliate dal canale. Dalla vasca ha origine il canale derivatore, parte all'aperto e parte in galleria naturale o artificiale, protetto da griglia e intercettato da paratoia piana.

Il canale termina nella vasca di carico in calcestruzzo, sita in Comune di Lovere, dotata di sfioratore di sicurezza e di due luci di scarico di fondo mascherate da altrettante paratoie cilindriche. I deflussi scaricati dagli scarichi di fondo e di superficie sono convogliati nel Torrente Borlezza mediante un condotto di calcestruzzo ubicato sotto la sede della condotta forzata. Esso può scaricare direttamente nel torrente oppure nel tombotto di restituzione delle turbine e alimentare il successivo impianto di Tinazzo situato nel comune di Castro

IL SENTIERO STORICO

IL SENTIERO STORICO

 

La strada della Corna fu costruita assieme al porto fortificato di Castro agli inizi dell’ XI secolo per creare un percorso commerciale via lago tra la pianura Bergamasca e l’ Alta Val Seriana, senza mai sconfinare nell’ostile territorio di Lovere, allora bresciano. La strada, destinata ad essere percorsa da carri, fu realizzata con grande impegno tecnico, superando notevoli ostacoli di natura fisica attraverso la costruzione di alti muri di sostegno e la realizzazione di difficoltosi scavi in  roccia. Dove la strada ha come basamento la roccia viva vennero scavati dei binari destinati a rendere più sicuro il transito, mantenendo in carreggiata le ruote dei mezzi di trasporto. Nel punto più stretto, tra la parete rocciosa ed il precipizio, venne realizzata una importante opera di fortificazione costituita da una porta o saracinesca che, presidiata militarmente e collegata alla sovrastante fortificazione del Colle di S. Lorenzo, doveva proteggere alle spalle il territorio di Castro.

Dell’opera di difesa restano a vista le due guide incise nella roccia, destinate a contenere gli stipiti della porta.

 

CENNI STORICI

 

Nel percorso che dalla pianura lombarda porta alla Val Camonica lungo la Val Cavallina, il corso terminale del fiume Borlezza e la sua forra (il Tinazzo) costituiscono un forte ostacolo naturale, un vero taglio nel territorio.

 

Le pareti della forra però, poco dopo il suo inizio, si toccano fino a costituire un ponte naturale chiamato nei documenti antichi pons-terraneus o Ponteragno (da cui il nome di Poltragno dato alla località).

Su questo stretto passaggio naturale, oggi ridotto a modesto tratturo, passava l’antica via vallis, che nell’antichità costituiva uno dei più importanti transiti per i paese di area germanica attraverso il passo del Tonale. Su questo ponte passarono numerosi eserciti, tra cui quelli di parecchi imperatori diretti all’incoronazione papale o alle guerre di mantenimento del loro dominio.

Sicuramente transitarono: Federico Barbarossa nel 1166, Ludovico il Bavaro nel 1327, Carlo IV nel 1355, Massimiliano d’Asburgo nel 1516.

A sud del ponte naturale, la profonda forra del Tinazzo ed a nord il letto paludoso e le ripide rive del Borlezza, impedivano l’attraversamento del corso d’acqua, per cui l’angusto passaggio poteva essere bloccato con grande facilità.

L’alternativa di transito poteva essere, verso sud, la risalita al colle di S. Lorenzo e poi la ridiscesa verso il largo estuario dove il fiume poteva facilmente essere guadato, oppure verso nord, la risalita fino a Sovere per cercare di attraversarlo dove le rive erano meno ripide e il fondo meno paludoso.

Su questo vallo naturale il controllo militare romano si arroccò per quasi un secolo, presidiando il passaggio e creando una linea difensiva che impedisse alle bellicose popolazioni camune di uscire dalla loro valle per compiere scorrerie verso la pianura.

Le fortificazioni medioevali del colle di S. Lorenzo a Castro e della Madonna della torre a Sovere, sorsero probabilmente su due originari fortilizi romani che avevano il compito di sorvegliare ed impedire l’aggiramento della forra.

 

Solo sotto Augusto, i Romani decisero di soggiogare definitivamente le valli alpine e nel 15 a.c. la val Camonica fu sottomessa.

La forra non perse comunque la sua funzione di forte elemento di delimitazione territoriale e in epoca imperiale romana fu il confine tra la tribù Voturia e la Quirina; divise poi i ducati Longobardi ed infine le contee vescovili di Bergamo e Brescia, per cui ancora oggi è confine tra le due diocesi, oltre che tra i comuni di Lovere e Castro.

Alla presenza di questa antica delimitazione territoriale devono la loro nascita nell’XI secolo: il porto fortificato di Castro e la cosi detta strada della “Corna”, scavata con grande impegno tecnico nella roccia sulla sommità della forra e munita di opere di difesa. La funzione del paese e della strada era strategicamente molto importante; dovevano permettere di collegare via lago senza mai sconfinare nel territorio “bresciano” di Lovere, le valli bergamasche che erano importanti produttrici di ferro, ma dipendevano dalla pianura e dalla città per il vettovagliamento.

L’acqua del Tinazzo forniva anche l’energia necessaria per lavorare il ferro delle valli e sul suo corso, sia a monte che a valle della forra, sorsero mulini e fucine. Ma la forra rappresentò nei secoli anche una permanente minaccia di devastazione. Nel caso di forti nubifragi, l’acqua trascinava grandi quantità di detriti vegetali che impuntandosi nello stretto ingresso della forra, creavano una diga di tronchi che alzava anche di una decina di metri il livello del retrostante torrente, Quando la diga cedeva, l’effetto era devastante: un  uro d’acqua entrava con un assordante rombo nella forra e si scaricava a lago, lambendo il paese di Castro. Una delle più disastrose alluvioni fu sicuramente quella avvenuta poco prima del 1535, anno in cui erano ancora descritti i lavori in corso per la riparazione dei gravi danni subiti dal paese.

 

A questa distruzione faceva probabilmente riferimento il letterato bergamasco Achille Mozzi, che nel 1590 scriveva “Vicus Oliveri Castri Memorabilis olim, Corruit, immensae turbine raptus aquae” (il villaggio di Castro, ricco di ulivi ed un tempo degno di memoria, rovinò travolto da un immenso vortice d’acqua).

Ma quella citata dal Mozzi potrebbe anche essere un’altra alluvione avvenuta poco prima del 1590, poiché con un tempo di ritorno di circa mezzo secolo, altre alluvioni sono ricordate nel 1692, nel 1737, nel 1784, nel 1820, nel 1882, nel 1905.

Probabilmente dopo l’alluvione di fine ‘500 fu costruito il possente muro d’argine verso Castro, già rilevato nelle carte del 1626 ed ancora oggi visibile. L’alluvione del 1784 danneggiò gravemente il primo esempio di trasformazione in senso industriale dell’economia, che da secoli sfruttava artigianalmente l’acqua della forra. Venne infatti raso al suolo il forno fusorio che Ludovico Capoferri di Castro (1752 – 1830) aveva costruito all’uscita della forra.

Di fronte al forno del Capoferri, in territorio loverese, più protetto dalle alluvioni, sorgevano già gli antichi mulini della misericordia, su cui venne impiantata una fabbrica di falci ricordata a partire dal 1742 e statalizzata in epoca napoleonica.

Partendo da queste basi, Giovanni Andrea Gregorini di Vezza d’Oglio (1819 – 1878) costruì sulle medesime aree nel 1855 il primo nucleo dell’attuale stabilimento siderurgico. Nel 1810 fu appaltata dal governo napoleonico la strada Poltragno – Lovere, che coprendo parte della forra del Tinazzo, doveva collegarsi con la strada rivierasca appena completata. Il motivo dei lavori era indubbiamente collegato ad esigenze militari, essendo di massima importanza nel corso delle guerre napoleoniche il facile collegamento tra la pianura lombarda ed i confini del Tirolo.La guerra che riprese proprio nel 1810, costrinse però ad interrompere i lavori, che solo nel 1816 vennero ripresi dal nuovo governo austriaco e terminati con l’ardita costruzione del ponte sul Tinazzo.

L’opera ciclopica per quei tempi, destò enorme stupore tra la popolazione. Don Alessio Amighetti nell’opuscolo “La gola del Tinazzo” edito nel 1897 dice che “la gola in chiunque la visita per la prima volta non può non lasciare un’impressione incancellabile di orridezza, di raccapriccio e di ardimento per quegli ingegneri, che verso l’anno 1816 si peritarono di coprire quel baratro spaventoso con una strada”.

L’impatto di questo lavoro sull’urbanistica Loverese fu enorme; il principale asse viario cittadino, quello che da secoli attraversava il centro storico, fu abbandonato e la piazza del Porto divenne il centro del paese.

Con i lavori la forra perse buona parte del suo cielo aperto, ma ben peggiore sarebbe stata la devastazione del secolo successivo.

Infatti i successori di Giovanni Andrea Gregorini, desiderando ampliare l’area industriale e porre gli impianti al sicuro dalle distruzioni, ottenne nel 1915 l’autorizzazione a deviare il corso del Borlezza, costruendo una diga nella forra del Tinazzo e scavando un canale artificiale che sfocia a lago poco prima del Bogn di Castro. Questa diga divise in due la forra, mantenendone attiva una parte e rendendo “fossile”, ma facilmente visitabile l’altra. 

I PERCORSI TEMATICI

Percorsi tematici

 

 

All’interno del parco si sviluppano 3 percorsi  tematici:

 

  1. Il sentiero naturalistico
  2. Il sentiero storico
  3. Il sentiero dell’energia

IL SENTIERO NATURALISTICO

IL SENTIERO NATURALISTICO

 

Un portale con  due pesanti porte in legno permette l’accesso al sentiero che si snoda in direzione della gola del Tinazzo. Grazie  al comodo sentiero, si attraversa un boschetto che nella sua complessità compositiva di specie arboree (dominate dal carpino nero), arbustive ed erbacee, assume aspetti caratteristici del “bosco di forra” in vicinanza della gola per l’ombrosità, la freschezza e l’umidità dell’ambiente che ha favorito anche l’insediamento spontaneo del tasso (Taxus baccata). Spettacolare è lo sviluppo della felce Lingua di cervo (Phyllitis scolopendrium) che riveste abbondantemente la pendice boschiva. Sulla rupe calcarea spicca, rara e preziosa in questo luogo recondito, la presenza della celeste campanula d'Insubria (Campanula elatinoides) dalle carattersistiche foglie cuoriformi e vellutate.  Sui margini del rivo perenne la coda cavallina afferma la sua inconfondibile presenza con due specie: l’equiseto dei campi (Equisetum arvense) e l’equiseto invernale (Equsetum hyemale)  Non è estranea alla biodiversità vegetale la presenza di entità botaniche, come robinie, ailanti, ligustri e anche alcune palme del genere Trachycarpus, legate all'azione antropica più o meno intensa. 

Nei pressi della gola, i ripiani terrazzati ospitano vecchi prati da sfalcio (arrenatereti), in passato molto più ricchi di fioriture multicolori. Anche le nude pareti rocciose sono colonizzate da vegetali come l’azzurra campanula della Carnia (Campanula carnica), l’erba regina (Telechia speciosissima) simile ad una grossa margherita gialla  e il raponzolo di Scheuchzer (Phyteuma scheuchzeri). Le altre parti del Parco, esposte al sole, ospitano una boscaglia rada e bassa dominata dall'orniello e dal carpino nero con qualche roverella. I varchi lasciati dalla copertura del bosco sono colonizzati dalla flora dei “prati aridi” dove la sesleria, la graminacea più comune, è accompagnata da numerose specie di areale mediterraneo e steppico.

 

Il piccolo territorio del Parco per la sua articolata morfologia, per il clima locale e la natura della roccia di cui è costituito presenta un suggestivo interesse floristico e vegetazionale che stupisce i visitatori. All’uscita del boschetto si giunge ad una parete rocciosa che sembra   chiudere   la  via.   In  realtà  avvicinandosi  si  scorge un’altissima  fessura nella roccia.

 

Due enormi pareti alte più di 40 metri fanno da ali all’ingresso della gola che è visitabile in sicurezza  per oltre cento metri per una larghezza variabile da 1 fino a 4 metri. Un  percorso in un territorio che dorme su millenni di battaglie infinite  tra  le  forze dell’acqua  e  della  roccia,  modellato  da glaciazioni  ancestrali  ed  eroso  dallo  scorrere  impetuoso del torrente Borlezza. Da  qui nel corso  dei millenni sono passati centinaia di milioni di metri cubi di sabbia e roccia trascinati  fino al lago d’Iseo dalla forza  impetuosa del torrente Borlezza. L’imponente quantità di detriti  e limo hanno formato la penisola su cui sorge il grande insediamento industriale della Lucchini RS.

Il territorio del Parco ha una lunga storia geologica a partire dalla formazione della roccia che costituisce le pareti incassanti e il fondo dell’antico alveo, riferibile alla Formazione di Castro. Questa roccia, deposta circa 190 MA fa in ambiente di piattaforma marina, ha un aspetto caotico e non presenta quasi i segni di una stratificazione. La matrice rocciosa ha invece ben conservato fino a oggi le tracce del susseguirsi di eventi dapprima formativi dei rilievi e successivamente modellatrici da parte dell’azione fluviale, carsica e glaciale. La roccia della forra, è stata sottoposta ad un lungo processo di erosione che ha creato uno stretto e suggestivo varco con visibili le tracce del progressivo abbassarsi del letto e del turbinare impetuoso delle acque. Si riconoscono su più livelli forme circolari relitte le “marmitte dei giganti” che sono il risultato dell’azione erosiva dei ciottoli trascinati dall’acqua in moti vorticosi. La roccia di natura calcarea mostra segni di carsismo soprattutto in corrispondenza di fratture e faglie, mentre la deposizione chimica di carbonato di calcio ha formato interessanti ed estese concrezioni di travertino in corrispondenza delle pareti. Importanti circuiti idrici terminano il loro percorso in corrispondenza di due sorgenti poste proprio entro i limiti del parco Nell’arco di tempo compreso tra due milioni di anni e 10 mila anni fa l’azione glaciale ha agito su questa porzione di territorio. I notevoli spessori di ghiaccio hanno occupato la forra in più fasi.

 

ULTIME NOVITA':